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martedì 28 novembre 2017

Recensione Narrativa: FIABE STORTE, Autori Vari.



Autore: AA.VV..
Anno: 2017.
Genere: Drammatico - Vita Reale.
Editore: Edizioni Il Foglio.
Pagine: 190.
Prezzo: 14,00 euro.

A cura di Matteo Mancini.
Antologia collettiva infarcita di nuove proposte del pisano agli ordini di Federico Guerri, apprezzato scrittore presentato al Premio Strega 2015, data alle stampe in occasione del Pisa Bookfestival 2017 quale "primavera", se vogliamo, del parallelo progetto L'Altra Metà di Pisa - Racconti Neri Ambientati nell'Area Pisana in cui trovano sfogo scrittori di maggiore esperienza.
Il volume nasce, da quel che ho capito, quale sbocco finale di un cammino avviato nell'ambito di un laboratorio di scrittura creativa denominato "la cassetta degli attrezzi dello scrittore" che ha coinvolto molti giovani scrittori per un totale di tredici racconti. Iniziativa lodevole dunque, ben resa da una cura del testo che non ha niente da invidiare alle antologie di scrittori affermati.
I tredici racconti sono tutti assai scorrevoli e prendono le mosse, molto alla lontana, da celebri fiabe che tutti noi conosciamo, rielaborate ma soprattutto contestualizzate alla vita di tutti i giorni in quel di Pisa. Guerri e soci infatti hanno deciso di sfruttare le location del comune di Pisa - Marina di Pisa e Tirrenia comprese - per mettere in scena il campionario fatato che popola l'immaginario collettivo dell'infanzia di ogni ragazzo o ragazza. Al di là del sicuro talento degli scrittori, bravi a gestire i tempi di narrazione (e soprattutto da incentivare in questa loro passione), si respira un'aria da trovata commerciale, se mi concedete il termine. Il curatore, penso si debba ascrivere a lui la scelta relativa alla piega da dare alle storie, decide di parlare di "Fiabe storte", vuoi per il fatto dell'ambientazione facilmente individuabile con la torre pendente (e da qui storta), vuoi per gli epiloghi spesso crudeli e drammatici (da qui storti rispetto a quanto di solito avviene nelle fiabe per bambini), per poi proporre un lotto di racconti dove il c.d. sense of wonder così come il contenuto allegorico tipico di un certo genere narrativo (come appunto quello delle fiabe, vuoi che siano favole vuoi che siano nere) sono del tutto assenti. Curioso rilevare come l'unico vero racconto dove si respira a pieni polmoni aria "fantastica" sia proprio quello di Federio Guerri, con un elaborato ai limiti dell'horror con venature erotiche molto interessanti.

Ne viene fuori un progetto finale che è piuttosto fuorviante per un potenziale acquirente all'oscuro di quanto sta per acquistare, specie se si considera la copertina scelta del tutto in linea ai gusti di un pubblico di giovanissimi a cui non credo debba esser destinato questo testo. Non essendo presente il sense of wonder infatti si viene a creare un qualcosa da destinare a un pubblico diverso da quello ricercato con l'immagine di cappuccetto rosso in bella mostra a fianco della torre pendente. Fiabe Storte è un'opera dalla forte portata drammatica, con alcune storie crudeli (badate bene, non violente o truculente) nel senso realistico del termine, che ha un marcato legame, più che col mondo fantastico delle fiabe, con la realtà di tutti i giorni. In altre parole il lettore si trova al cospetto di un "collage" di situazioni che ben si possono respirare in città, con il carico di difficoltà cui vanno incontro gli studenti fuori sede, piuttosto che i clochard da strada con i loro fantomatici racconti di una vita passata o ancora gli adolescenti al cospetto con la maturità o piuttosto che con la confusionaria movida che vivacizza le estati della vita notturna pisana.

Un altro aspetto che ho notato, spesso e volentieri (non riguarda tutti i racconti), è la tendenza a non sfruttare i finali con trovate quanto meno spiazzanti o comunque tali da ribaltare quanto fin lì letto. Caso emblematico, sotto questo profilo, è il testo di Francesca Germanà che riesce a creare, con l'ingresso nell'orto botanico, un'atmosfera da fiaba e poi si perde in un finale senza arte né parte. Gli autori tendono a narrare storie che hanno uno sviluppo lineare, su un unico livello di lettura, quando invece avrebbero potuto sfruttare maggiormente la magia creativa. E' pur vero che in più di un'occasione la lettura suscita emozioni di tristezza o comunque di malinconia (molto bello sul piano poetico, a questo riguardo, il racconto di Matteo Romani), ma a mio avviso si poteva fare di più (vuole essere una critica costruttiva e non una bocciatura). Fa eccezione, in parte, relativamente agli epiloghi, l'atmosfera magica evocata da Luca Pappalardo con il protagonista che sembra quasi veder materializzare nelle ombre della città la fantomatica donna con gli stivali che da una parte concede (fortuna) e dall'altra toglie e che è stata al centro del racconto di un misterioso clochard.
Lodevolissima, per la gestione della storia e la fluidità dell'elaborato (non che gli altri non abbiano questi pregi, perché su questo aspetto l'antologia è riuscita), la caustica Sara Tirabassi. Il suo racconto è forse, sul piano strutturale, quello maggiormente coinvolgente con un personaggio che è più volte sul punto di soccombere e poi passa dall'altro lato del bancone, se così possiamo dire. Da studente sfigato a professore, il tutto con pregiudizio altrui in un'ottica in cui l'egoismo viene alimentato e incentivato dalla società stessa.
Bel ritmo anche nel racconto di Andrea Gemignani che ricostruisce una Pisa sotto i bombardamenti della seconda guerra mondiale in bello stile, pur se con contenuto latente sul piano innovativo.

Chiudo con un elogio per la veste formale dei racconti, ben presentati e curati, e soprattutto con un incoraggiamento a tutti gli autori che, lo ripeto, dimostrano qualità su cui lavorare. Col soggetto giusto, e per giusto intedo voler dire dotato di spunti innovativi e fantasiosi, ognuno dei dodici può benissimo fare la sua figura al cospetto di chiunque, poiché Fiabe Storte mette in sicura luce le qualità di narratori di ognuno dei dodici scrittori proposti. Ho detto dodici perché Guerri non si scopre adesso... ma qui sotto...!

Il "coordinatore del progetto"
FEDERICO GUERRI.

"In ogni luogo, in ogni persona, ci sono due cose. C'è una vetrina: un angolo perfetto che sembra un plastico messo insieme dal migliore architetto della galassia, con un grande prato verde dove tutti reggono la torre pieni di felicità, meraviglia e gratitudine verso il mondo. E poi c'è Pisa.

domenica 19 novembre 2017

Recensione Saggi: PIERINO CONTRO TUTTI di Gordiano Lupi.



Autore: Gordiano Lupi.
Anno: 2017.
Genere: Saggio Cinematografico.
Editore: Edizioni Senso Inverso.
Pagine: 60.
Prezzo: 12,00 euro.

A cura di Matteo Mancini.
Coraggiosa disamina sull'intera produzione cinematografica incentrata sull'irriverente e sboccata figura di Pierino, lo studente ripetente dalla battuta tanto facile quanto volgare e dagli irreplicabili voti scolastici. Un materiale dunque assai di nicchia, vuoi per le sceneggiature sfilacciate spesso costituite da una lunga serie di barzellette incollate alla bene meglio, vuoi per la pochezza dei contenuti spesso orientati su un versante erotico pruriginoso. Poco importa ricordare che il film che dette il là alla serie nel 1981, Pierino Contro Tutti di Marino Girolami, riuscì nell'impresa di incassare circa nove miliardi, lasciando basito un maestro del calibro di Sergio Leone (il quale già odiava Trinità, figurarsi il Pierino di Vitali), perché simile risultato non fu neppure lontanamente lambito da tutti i successivi e ripetitivi episodi. Un insuccesso che non può che rischiare di riflettersi anche su un volume interamente dedicato alla serie.

Rischio flop dunque molto marcato e pochi autori, probabilmente, disposti ad affrontarlo. Si lancia allora nel progetto, di riportare in auge il terribile bimbo cresciuto che terrorizza le belle donne e ridicolizza i professori, Gordiano Lupi; chi altro se non lui? Scrittore e appassionato di cinema italiano, già impegnato in volumi divulgativi di registi e attori più o meno noti, il piombinese è uno dei pochi a non temere questi progetti. Se da una parte vengono alla memoria la monumentale opera articolata in cinque volumi sul cinema horror italiano o i volumi dedicati ai vari Di Leo e Deodato, dall'altra è da ricordare la riscoperta (o forse il tentativo di riscoperta) di Bruno Mattei, regista da molti considerato come il "peggior regista" nostrano impegnato nell'horror italiano. Come per Mattei, Lupi confeziona l'unico libro dedicato alla figura di Pierino e lo fa col suo consueto piglio già ammirato nelle sue precedenti opere di "critica" cinematografica. Dopo un breve capitolo in cui si fornisce un cenno sulle radici letterarie del personaggio (si parla di Mark Twain e di Pierino Porcospino), Lupi passa a presentare uno dietro l'altro i tre film della saga ufficiale e gli ulteriori sei apocrifi comprendendovi anche un paio di pellicole ai limiti dell'hard. Vengono dunque fornite le schede tecniche dei film, qualche aneddoto (non molti, in verità) e la disamina delle trame e dei momenti più o meno riusciti, senza farsi prendere dalla smania di voler recuperare a tutti i costi questi film. I commenti sono precisi e calibrati, quando c'è da cazziare Lupi non si fa prendere dai sentimentalismi. Completa l'opera una succinta analisi delle colonne sonore a firma del ceco Jan Svabenicky, già letto in altri volumi come il libro intervista al duo Aldo Lado & Ernesto Gastaldi o nel primo capitolo del mio Spaghetti Western Vol.3.

Abbiamo definito la pubblicazione come "coraggiosa" e lo abbiamo fatto perché, da un punto di vista commerciale, il progetto non sembra poter disporre di una capacità di richiamo tale da lasciar presagire un elevato numero di vendite. Il prezzo, per di più, non è ben bilanciato rispetto alle pochissime pagine che compongono il volume e rischia di render ancora meno appetibile il volume. 12 euro per sole 60 pagine, praticamente 20 centesimi a pagina (il mio terzo volume sul cinema western italiano, di 600 pagine, verrebbe così a costare qualcosa come 120 euro!?), ci sembrano troppe. Probabilmente sarebbe stata buona cosa impolpare il volume trasformandolo in una sorta di testo dedicato ad Alvaro Vitali, magari anche con interviste inedite e curiosità sulla sua figura, da concentrare poi con un ampio capitolo dedicato alla figura di Pierino, senz'altro il personaggio a cui l'autore romano è più legato. Non avrebbe guastato, poi, un capitoletto con le barzellette più riuscite dell'intera saga, un modo per presentare il testo anche come un volume di barzellette di pronta soluzione.

Il progetto nasce in modo curioso, grazie alla richiesta fatta dalla figlia di Lupi di vedere le pellicole della saga Pierino. Come darle torto, dato che io stesso da piccolo guardavo a ripetizione queste pellicole quando venivano date sulle reti regionali (tutt'oggi, se le trovo durante un giro di zapping, non riesco a cambiare canale anche perché mi ricordano un periodo a me molto caro). Un'occasione propizia per Lupi per riguardarle con la deformazione "professionale" che caratterizza chi prende il vizio a scrivere recensioni e commenti (io ne so qualcosa). Così facendo l'autore piombinese si è trovato per le mani un volume già fatto, con appunti e opinioni pronte a esser condivise, ma con poca convinzione (probabilmente anche per i motivi che abbiam sopra esposto) nel darle alla stampa in un'opera organica. Sono dovute allora entrare in gioco le Edizioni Senso Inverso di Ravenna che, con la loro collana Italia Nascosta, han deciso di scommettere su Pierino una volta informate dei progetti dell'autore conservati nel c.d. cassetto. Il volume cerca così di rispondere a uno dei fini della collana ovvero quello di "recuperare e dare alla luce quanto di italiano sia caduto nell'oblio", il tempo dirà se la scommessa è stata vincente.

L'autore GORDIANO LUPI.

"I film della serie pierinesca vivono soprattutto per volgarità, anarchia e inosservanza degli schemi cinematografici. Sono pellicole politicamente scorrette, irriverenti e assurde, ma rappresentano un sano e sboccato divertimento che il pubblico in quel preciso momento storico chiedeva al cinema."

sabato 18 novembre 2017

Recensione Saggi I CAVALLI DI LEONARDO... E CARLO di Carlo Abete e Leonardo Pantuosco.



Autore: Carlo Abete e Leonardo Pantuosco.
Anno: 2017.
Genere: Sportivo - Ippica.
Editore: Carmignani Editrice.
Pagine: 184.
Prezzo: 13,00 euro.

A cura di Matteo Mancini.
Raro volume dedicato al mondo dell'ippica, acquistato la scorsa settimana insieme ad altri sette libri al Pisa Bookfestival. Tredici euro impreziosite dall'autografo di uno dei due autori, trovato per caso allo stand della Carmignani Editrice di Staffoli. "Neanche a farlo apposta, c'è qui l'autore..." il commento degli addetti allo stand nel momento in cui, senza neppur vedere la lunga serie di volumi esposti, rompo il ghiaccio al seguente proclama: "Prendo questo!". E così sul frontespizio della mia copia si legge, impresso con inchiostro a pennarello: "A Mattia, con amicizia" seguito dalla firma "Carlo" e dal disegno di un abetino. "A Mattia" dunque e non "A Matteo", un errore che evoca il mio quasi omonimo re di Piazza del Campo il cui nome veniva spesso confuso con quello di "Mattio" ovviamente Mancini, una curiosità che viene esaltata dal fatto che Carlo Abete (da non confondere con il più famoso Giancarlo, storico Presidente della FIGC), l'autore della dedica, è stato speaker per anni dell'impianto Pian delle Fornaci di Siena. "Come ti chiami?" ovviamente rispondo col mio nome ma specifico di non scrivere Mattia onde evitare di chiamare in causa un mostro sacro di certe piazze... detto fatto, con buona pace della Balivo... il refuso è presto vergato.
Un volume dunque che va a impreziosire il lato della mia biblioteca in cui trovano spazio i vari Varola, Gianoli, Castelli, il Laghat di Querci (cavallo tra l'altro allenato da Pantuosco, pur se non ricordato nel volume) e opere collettive dedicate alla Società Steeple Chase o ai 100 anni dell'ippodromo di Merano.

"Questo libro è nato dai ricordi lontani nel tempo, da scritti e lettere ormai abbandonate" è il leit motiv che sta alla base di un progetto introdotto dalla prefazione del "prezzemolone" Renzo Castelli e intitolato I Cavalli di Leonardo... E Carlo, con "Il Cavallo di Leonardo" a spiccare nella copertina in omaggio sia a Leonardo Pantuosco (il gentleman e poi allenatore che è il protagonista del volume) sia alla scultura che troneggia all'esterno dell'ippodromo di San Siro.
I due autori rendono così il loro tributo al loro passato, ma soprattutto a una lunga serie di personaggi, sia addetti ai lavori sia spettatori più o meno eccentrici, che hanno popolato le giornate degli amici dell'ippica. Ne esce fuori un libro un po' strano, con vaghe reminiscenze al Charles Bukowski che spiegava le strategie di scommessa per sbancare i totalizzatori o i picchetti. Un testo stampato nel marzo del 2017, ma già giunto alla sua seconda edizione, che cambia spesso registro, offrendo punti di vista diversi con una costruzione che non sempre è lineare ed evolutiva. Sintetico e scritto bene dal punto di vista stilistico, denota forse un'incertezza di fondo sulla piega da dare al progetto. Nasce forse come un volume biografico, legato alla genesi della passione comune ai due autori che poi raccontano in terza persona le proprie vicende personali. Da una parte Leonardo Pantuosco, un bambino romantico e sognatore che cresce in campagna nella Val di Cecina con l'amore per i cavalli da maneggio fino a tentare la via del gentleman e poi dell'allenatore; dall'altra un vivace ragazzino che ha perso da giovane il padre e che studia buttando un occhio dapprima alle partite del Livorno e poi sui programmi delle corse dei cavalli, costruendosi una discreta carriera da scommettitore prima e da giornalista di settore poi. In mezzo a questo canovaccio, forse troppo rischioso in termine di vendite, i due autori colgono l'occasione per fare una panoramica divulgativa del settore, sia sui personaggi centrali sia sui cavalli, non disdegnando a tratteggiare un generico abbozzo di profilo psicologico dei vari componenti del mondo dell'ippica. E' un libro tuttavia di emozioni (rese in modo sopraffino in alcuni punti in cui lo stile diviene addirittura struggente e melanconico), non ci si sofferma troppo, salvo alcuni casi, sul versante sportivo, ma c'è ampio spazio sulle vicende di vita con un bellissimo capitolo di un amore rimpianto per una donna, tale Ilaria, che ha acceso l'estate di un giovane Pantuosco, un sentimento trasformantosi presto in una triste metafora della vita. Vicende di vita comune che si intrecciano con gli aneddoti storico-sportivi, probabilmente i più interessanti per un lettore di settore, con dei capitoli in pillole in cui si offre uno sguardo sull'ippica italiana di un tempo, quella capace di affermarsi all'estero (i vari Grundy, Bolkonski, Wollow, Mannsfeld, Sirlad e Tony Bin) ma anche sugli allenatori e sui fantini che hanno reso magiche le serate al Caprilli di Livorno con una lunga prima parte che sembra far le veci di quel Bignami (il riferimento non va allo storico allenatore in ostacoli, bensì ai volumetti che andavano per la maggiore in ambiente liceale) dell'Ippica che mai nessuno ha avuto il coraggio di scrivere (e che noi abbiam più volte stimolato ma senza esito).

Le emozioni, abbiamo detto, anteposte alle statistiche e alle curiosità su quello piuttosto che sull'altro cavallo. Nel testo non si dice che Leonardo Pantuosco ha colto 130 vittorie da allenatore, oltre 38 ulteriori successi marcati dalla Scuderia Flery di sua proprietà prima del conseguimento del patentino (io ricordo anche un timido tentativo di approccio con le siepi col sauro Serleo). Per i due autori i freddi dati degli albi d'oro sono marginali, c'è comunque qualche aneddoto che ogni tanto spunta fuori sui vari Robereva, Gott Mit Uns o Fast Gate (cavallo capace di regalare svariate vittorie a Cagnes sur Mer e di confrontarsi addirittura a Lingfield, Inghilterra, con Frankie Dettori in sella), portacolori che hanno costituito la punta di diamante di circa venti anni di professione con due Coppe del Mare in bacheca, conseguite con un invidiabile doppio messo a segno da Robereva e Gran Gordito nel 1997 e nel 1998, ma anche una Listed a Milano (unica affermazione in pattern race del team Pantuosco) e l'Handicap Principale Galilei firmato sempre Robereva.

Un volume dunque non di facile presa commerciale che cerca di tastare i gusti dei lettori proponendo un materiale variegato che va dagli aneddoti personali gravitanti attorno alle scommesse (su cani, cavalli e casinò), passa poi sul versante sportivo e da questo alle vicende private (nonché sentimentali), senza mai dimenticare di rendere quel giusto e comprensivo tributo alle persone della giovinezza. Persone che, a loro modo, hanno condiviso passioni comuni ai due autori e hanno reso uniche giornate ormai evaporate negli anni; un mondo che forse, una persona sufficientemente sensibile, può illudersi al tocco di quel Rol (un tempo allievo di Pantuosco) di poter rivivere nell'abbandonato ippodromo del Caprilli come un magico revival dei tempi perduti liberatosi dall'oblio del tempo per una sola notte d'estate.

Ben vengano dunque libri del genere, si segnala anche Il Bimbo delle Sorgenti di Renzo Castelli uscito pochi mesi fa e relativo alla carriera di Ovidio Pessi (prima fantino e poi allenatore di successo), necessari per contribuire a sviluppare quella cultura ippica che, al di fuori dell'ambiente di riferimento, è pressoché nulla e influenzata da luoghi comuni tutt'altro che positivi. Attendiamo allora nuovi progetti da Abete o anche da Querci per portare ossigeno nel rarefatto mondo letterario dell'ippica italiana. A proposito degli alberi, ricordo che Alberelli era uno storico fantino bravo sulle siepi...specie quelle da gran premi.


"Chi vive il cavallo solo con il cuore spesso deve convivere con chi trova nel cavallo un mezzo per ostentare il suo stato economico; o chi, attraverso questi animali, vuole raggiungere fantastici, quanto improbabili, guadagni; o chi, ancora, investe i propri denari spinto da strategie economiche o per necessità di natura fiscale. Inevitabilmente, relazioni obbligate, quanto impossibili, fra generi così diversi di turfman danno origine a screzi e incomprensioni, proprio perché da una parte si decide il da farsi tenendo conto in primis della salute e dell'incolumità del purosangue, e dall'altra non esiste ragione diversa del servirsene in maniera sconsiderata e indegna."


venerdì 17 novembre 2017

Recensione Narrativa: I PARASSITI DELLA MENTE di Colin Wilson.



Autore: Colin Wilson.
Titolo Originale: The Mind Parasites.
Anno: 1967.
Genere: Fantascienza / Psicologico.
Editore: Mondadori, collana Collezione Urania (n.177).
Pagine: 230.
Prezzo: 6,90 euro.


Commento a cura di Matteo Mancini.
Dopo tanti anni mi sono di nuovo imbattuto in uno di quei testi, vuoi per la troppa carne al fuoco, vuoi per la complessità dei temi trattati ma soprattutto per una certa ridondanza e ripetizione delle tematiche, che ho faticato non poco a ultimare.
Nato come omaggio alla produzione narrativa di Howard Philips Lovecraft, si parla di uno scavo che permette di scoprire la città ciclopica al centro di alcuni dei racconti del solitario di Providence (la fantomatica Kadath), il testo si allontana anni luce dalle tematiche classiche. Lo scrittore inglese classe 1931 Colin Wilson cerca di fondere la narrativa creativa a quella saggistica che lo aveva lanciato alla ribalta con il saggio sulla psicologia nella letteratura intitolato The Outsider (1956). Il suo The Mind Parasites diviene così un colto calderone infarcito di citazioni e di teorie che fatica però a svilupparsi per le vie convenzionali. Si ha infatti la sensazione, per la quasi integrità del testo, di essere alle prese con un saggio fantastico mascherato da romanzo. La lettura diviene lenta, pesante, persino ripetitiva con le elucubrazioni mentali anteposte ai fatti. Ne viene fuori un testo introspettivo all'ennesima potenza, una sorta di diario, che ruota attorno alla supposta esistenza di impalpabili creature, più o meno aliene, i c.d. "parassiti della mente", che popolerebbero il sub inconscio di ciascun uomo allo scopo di impedire lo sviluppo dell'intera società. Evidente la critica al materialismo figlio delle logiche commerciali, responsabile di atrofizzare le menti e plagiare gli uomini per scopi cari a chi tesse le trame del "gioco". L'umanità deve allora imparare (o sarebbe il caso di dire reimparare, come avveniva nell'antichità) a esplorare la propria mente, paragonata a un vero e proprio continente, per liberarsi dalle catene che ne impediscono quell'evoluzione capace di trasformare ogni individuo in una sorta di creatura simile a una divinità dotata di poteri paranormali (dalla telepatia alla telecinesi). "Il loro scopo (dei parassiti) è impedire all'uomo di scoprire i mondi interiori, e tenere la sua attenzione rivolta costantemente verso l'esterno."
Le teorie di Jung sul sub inconscio collettivo si intrecciano così con le tecniche del "risveglio dell'uomo" professate da Gurdjieff. Per Gurdjieff la persona dormiente è colui che attraverso le abitudini ha appreso comportamenti di cui non è consapevole pur essendone schiavo. Una situazione che può essere ribaltata solo con la conquista del vero io attraverso delle tecniche introspettive. Ecco allora che i protagonisti di Wilson muiono in senso metaforico intraprendendo una lotta mentale con i parassiti e, se vincitori, rinascono illuminati, iniziati a un nuovo modo di vedere il mondo. "Mi sembra di essere morto e di essere rinato diverso, gli altri ora mi sembrano addormentati." E' evidente come l'autore usi l'intelaiatura fantascientifica (la storia è ambientata nel prossimo futuro con strumentazioni futuristiche che vanno dalle astronavi alle escavatrici capaci di perforare per chilometri la terra) per portare in scena una storia metaforica che ha poco o nulla persino del fantastico, venendo ad assumere un significato prettamente esoterico-evoluzionistico (direi addirittura psicologico) inteso come cammino da intraprendere per l'evoluzione personale da inquadrarsi sotto un profilo spirituale piuttosto che materialistico. I parassiti diventano così un vero e proprio cancro, più che entità provenienti da altri mondi, sviluppato dalla società industriale e dal capitalismo, un male che ottenebra le menti e porta all'apatia e a un'inconscia schiavitù dettata da tutte quelle abitudini acquisite e imposte indirettamente dal sistema. "Un nemico che non attacca di fronte o alle spalle, ma è dentro ognuno di noi."
Se la parte centrale risulta sufficientemente accattivante, con la scopertà dell'antica città sepolta, la parte conclusiva si trasforma in un qualcosa di fracassone, ai limiti del delirio collettivo schizofrenico, dove trovano spazio viaggi spaziali ai confini di Plutone, cambi di orbita lunare, terze guerre mondiali con gli Stati Uniti d'Africa e un revival della Germania nazista di nuova genesi (curioso leggere di un'Italia invasa e piegata agli ordini degli africani) fino a giungere al controllo mentale degli iniziati a danno (Wilson ha una visione ottimista e sarebbe più corretto scrivere "in favore") dei comuni mortali. Ne viene fuori, lo ripetiamo, un romanzo dotto (non si contano le citazioni dal marchese De Sade a Huxley, passando per Yeats, Gurdjieff e molti altri ancora) ma assai pesante da sostenere e non adatto assolutamente a un lettore medio. Interessante la tematica, meno convincente lo sviluppo soprattutto per un'eccessiva ripetitività che si snoda per tutto il testo. Wilson si preoccupa più di esporre filosofie e congetture che sviluppare una trama vera e propria.
Molteplici le frasi disseminate nel testo adatte a una raccolta di aforismi. Resta un progetto limitato e indirizzato a pochi, pubblicato dalla Arkham House di Derleth nel 1967 e in Italia dalla Fanucci dieci anni dopo. Nell'ottobre del 2017, a quarant'anni dall'edizione della Fanucci, è stato riproposto dalla Mondadori per la collana "Urania - Collezione".

L'autore COLIN WILSON.

"Il mondo di tutti i giorni polarizza la nostra attenzione, e ci impedisce di sprofondare in noi stessi... I problemi e le ansie della vita lo rendono difficile... ma la mente si estende all'infinito dentro di noi, è un pianeta con giungle, deserti e oceani in cui vivono esseri strani di ogni genere."